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A poche
miglia da noi Pronti a fare la nostra parte contro l’Isis Le ragioni per le quali
siamo stati fermamente contrari fin dal primo giorno alla guerra contro
Gheddafi erano dettate da una previsione sulle condizioni della Libia dopo la
caduta del regime del colonnello. Anche se non avessimo ritenuto almeno
strano che, sopportato e blandito Gheddafi per decenni, lo
si attaccasse quando non rappresentava più una minaccia all’occidente,
non ritenevamo possibile garantire condizioni di stabilità e sicurezza nella
Regione senza una massiccia presenza militare dei Paesi che avevano
combattuto il colonnello. Pensare di potersi affidare ai signori libici della
guerra, sarebbe stato come se Roosvelt e Churchill avessero stretto un patto
con Goering e Himmler per eliminare Hitler. Persino la
Francia si è dimenticata di aver controllato per un secolo il nord
Africa grazie alla Legione straniera e non certo attraverso accordi con i
capi tribù locali. Non parliamo di come l’Inghilterra resse il suo impero.
Per cui fatto saltare Gheddafi senza reparti militari sul terreno capaci di difendere
un governo centrale, è successo quello che è successo e tutti gli interessi
su cui un Paese in particolare pensava di mettere le mani, sono andati
perduti. Al contempo, e questo è peggio, Europa e America hanno sottovalutato
il fenomeno dell’Isis, preoccupati magari di sostenere la creazione dello
Stato palestinese e amenità varie. Così, oltre ad avere uno Stato islamico a
cavallo della frontiera siriana ed irachena, eccone un altro sorto a poche
miglia dalle nostre coste e addirittura al confine con l’Egitto che infatti già si è mobilitato. Non staremo nemmeno a dire
che cosa questo comporterà nei prossimi mesi in avanti, è sufficiente
prendere atto delle parole del presidente del Consiglio Renzi che ha parlato
di “emergenza internazionale, non solo europea” e assicurato che “l’Italia è
pronta a fare la propria parte”. Poi si deciderà in sede comunitaria quale
parte dovrà essere e con che finalità, ma è chiaro che potremmo trovarci a
breve, in una condizione che richiede l’intervento militare. Questa volta,
purtroppo, non lo si potrà fare dal cielo. Si
tratterà di conquistare palmo a palmo tutto il territorio finito in mano
all’Isis, dai pozzi di petrolio, alla città di Sirte, dai villaggi al
deserto, che compone lo Stato islamico. Quando abbiamo sentito Obama parlare
di una guerra all’Isis che sarebbe durata 14 anni, quasi 5 volte di più di
quanta fosse durata per l’America la seconda guerra mondiale, ci siamo
chiesti se il presidente statunitense si rendeva conto di cosa dicesse.
Perché lo Stato islamico non si limita all’area in
cui era sorto in quel momento, ma tendeva ad espandersi fino al Sudan, e
risalire il delta del Nilo fino alle coste del Mediterraneo. Se non si
abbatte lo Stato Islamico subito e quello resiste 14 anni, la guerra ne
potrebbe durare 50 o 100 anni e si rischierebbe di perderla. L’occidente ha
sbagliato la sua reazione all’Isis e lo dimostra che quello è già spuntato in
Libia. Se stiamo ancora a discutere su come ed in che tempi combatterlo,
rischiamo davvero di veder realizzato i peggiori incubi del ministro
Gentiloni, la bandiera nera sventolare su San Pietro. Roma, 16 febbraio 2015 |
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